Steve Schapiro
America, Sogni, Diritti.
L’età d’oro del fotogiornalismo nell’America degli anni Sessanta e Settanta.
Indice:
- I 7 reportage più iconici
- Martin Luther King e la lotta per i Diritti Civili
- James Baldwin
- La campagna elettorale di Robert Kennedy
- Muhammad Ali
- David Bowie
- La Factory di Andy Warhol
- Il cinema
Steve Schapiro è un fotografo americano che ha raccontato attraverso i suoi scatti l’America degli anni Sessanta e Settanta, testimoniando i momenti più salienti: dall’avvento dei Kennedy passando per l’epopea pop di Andy Warhol e la Factory, dal Movimento per i Diritti Civili di Martin Luther King Jr. fino alla sua morte, a personaggi dello sport come Muhammed Ali, fino al cinema d’autore per il quale ha lavorato come fotografo di scena in pellicole senza tempo come ‘Il Padrino’, ‘Taxi Driver’, ‘Un uomo da marciapiede’ e ‘Apocalypse Now’
Steve Schapiro, morto a ottantotto anni nel gennaio di quest’anno, scopre la fotografia all’età di nove anni.
Eccitato dal potenziale della fotocamera, trascorre i decenni successivi alla scoperta delle strade della sua città natale, New York City, guidato ed ispirato dal lavoro di Henri Cartier Bresson.
L’educazione più formale alla fotografia gli viene impartita da W. Eugene Smith che lo influenza sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista professionale.
L’interesse di Schapiro per la fotografia sociale, che durerà per tutta la vita, e la rappresentazione sempre empatica che faceva dei soggetti ritratti, sono il risultato dei giorni trascorsi con Smith e dello sviluppo di un approccio umanistico alla fotografia.
A partire dal 1961 Schapiro ha lavorato come fotoreporter freelance.
Le sue fotografie sono apparse a livello internazionale sulle pagine e sulle copertine di riviste come ‘Life’, ‘Look’, ‘Time’, ‘Newsweek’, ‘Rolling Stone’, ‘Vanity Fair’, ‘Sports Illustrated’, ‘People’ e ‘Paris Match’.
Durante quel decennio definito “l’età d’oro del fotogiornalismo”, Schapiro ha prodotto saggi fotografici su temi tra i più disparati come la dipendenza da stupefacenti, la Pasqua ad Harlem, l’Apollo Theater, Haight-Ashbury, i movimenti di protesta politica o la campagna elettorale di Robert Kennedy.
Attivista e documentarista, Schapiro ha raccontato con i suoi scatti molte storie relative al Movimento per i Diritti Civili degli afro americani come la Marcia su Washington, le proteste per la registrazione al voto e la Marcia da Selma a Montgomery.
Chiamato dalla rivista ‘Life’ a Memphis dopo l’assassinio di Martin Luther King Jr, Schapiro ha prodotto alcune delle immagini più famose di quel tragico evento.
Negli anni ‘70 sposta la sua attenzione sul cinema.
Con le principali compagnie cinematografiche come suoi clienti, ha lavorato sul set di film come ‘Il Padrino’, ‘Come eravamo’, ‘Taxi Driver’, Midnight Cowboy’, ‘Rambo’, ‘Risky Business’ e ‘Billy Madison’.
Dalla mostra al MOMA del 1969 ‘Harlem on my mind’, le fotografie di Schapiro sono state esposte nei più importanti musei e gallerie di tutto il mondo, riprodotte sulle riviste più famose e incluse in venti monografie.
Tra i tanti musicisti a cui Schapiro ha prestato la sua macchina fotografica ricordiamo: Barbra Streisand, Frank Zappa, Tina Turner, Frank Sinatra, Bill Evans, Ray Charles e i Velvet Underground per cui il fotografo ha realizzato copertine di dischi ed immagini per la pubblicità.
Su tutti, però, il rapporto professionale con David Bowie, diventato poi una lunga amicizia, ci ha regalato alcune delle immagini più iconiche del cantante.
I 7 reportage fotografici più iconici
- Martin Luther King Jr. e la lotta per i Diritti Civili
“Ho seguito molti eventi legati ai Diritti Civili e ai suoi leader come George Wallace a Tuscaloosa, la Marcia su Washington, Jackie Robinson a Birmingham dopo gli attentati, John Lewis a Clarksdale e, forse più importante, il Dr. Martin Luther King Jr. e la Marcia di Selma. Come accade per tutti i fotoreporter, il mio lavoro mi ha dato una prospettiva dietro le quinte.
Durante un incontro con Bobby Kennedy nel 1963, Jerome Smith disse chiaramente che il Presidente Kennedy non stava facendo abbastanza per migliorare le relazioni razziali. Un mese dopo, l’11 Giugno 1963, incapace di stare a guardare mentre uomini, donne e bambini che partecipavano al movimento rischiavano l’incarcerazione, la violenza o peggio, il Presidente Kennedy tenne il suo storico discorso sui Diritti Civili in televisione, definendo la desegregazione una questione morale “antica quanto le scritture”.
Quasi due anni dopo il Dr. King e la SCLC (Southern Christian Leadership Conference) percorsero 54 miglia sulla Highway 80, che da Selma, Alabama, porta alla capitale Montgomery, a sostegno del diritto di voto. I primi due tentativi di marcia si sono conclusi con l’intervento delle truppe statali che hanno colpito i manifestanti pacifici con gas lacrimogeni e manganelli, ma il terzo, guidato dal Dr. King, anche se non fu un evento storico molto partecipato come la Marcia su Washington, ebbe successo.
In molte mie fotografie del Dr. King sembra che lui guardasse la folla con preoccupazione, come se le numerose minacce di morte che riceveva quotidianamente potessero trovare credito da un momento all’altro. Queste immagini sono cupe nonostante il successo della Marcia di Selma, perché col senno di poi sappiamo che quelle minacce di morte si sarebbero presto avverate. Quando fu assassinato, tre anni dopo, ricevetti l’incarico da ‘Life’ di volare immediatamente a Memphis.
Josiah Williams, che era uno degli assistenti di King, mi fece entrare nella stanza di King. Vidi la valigetta sul ripiano, le camicie sgualcite e alcune tazze di polistirolo per il caffè. Poi la sua immagine apparve improvvisamente sul televisore appeso alla parete. Mi sembrò un momento molto simbolico. L’uomo fisico se ne era andato per sempre e qui rimanevano le sue cose materiali. Eppure sembrava che il suo spirito aleggiasse ancora sopra di noi. E’ stato uno dei rari momenti in cui ho sentito che stavo scattando una foto importante.
Un grande uomo se ne era appena andato e io volevo cercare di catturare la perdita. Impossibile, ovviamente”.
Steve Schapiro
- James Baldwin
James Baldwin, scrittore di saggi, romanzi, opere teatrali e poesie tra le più importanti nella storia della letteratura americana, nasce a New York nel 1924.
I temi della mascolinità, della sessualità, della razza e della classe si intrecciano nella poetica di Baldwin per creare narrazioni intricate che corrono parallelamente ad alcuni dei principali movimenti politici di cambiamento sociale dell’America della metà del XX secolo, come il Movimento per i Diritti Civili e il Movimento di Liberazione Omosessuale.
Il saggio di Baldwin ‘The Fire Next Time’ del 1963 valse all’autore un immediato successo e una tournée nel Sud degli Stati Uniti per parlare del Movimento per i Diritti Civili, trasformando lo scrittore in oratore e portavoce per la causa. A documentare per ‘Life’ il tour di Baldwin non poteva mancare l’obbiettivo di Steve Schapiro che, folgorato dalla lettura del saggio, propose alla rivista la realizzazione di un servizio sullo scrittore.
“Ho letto l’articolo di Baldwin sulle condizioni dei neri in America, che poi è diventato ‘The Fire Next Time’, e ho subito chiamato il mio editore a ‘Life’ chiedendogli se potessi fare un saggio fotografico su Baldwin. Nel corso di quattro settimane, abbiamo viaggiato da Harlem al Mississippi, con tappe a Durham nella Carolina del Nord, e a New Orleans. Mi ha fatto conoscere molti dei leader del Movimento.
A Durham fotografai Jimmy (ndr: James Baldwin) che teneva in braccio un orfano: il suo affetto per i bambini è sempre evidente. Abbiamo mangiato pollo fritto da JoJo’s a New Orleans e abbiamo riso molto con gli altri clienti. Durante il nostro viaggio abbiamo visto bambini poveri che non avevano la possibilità di ricevere un’istruzione adeguata e persone che subivano intimidazioni per non votare. Abbiamo incontrato liberali che non erano poi così liberali.
Credo che Jimmy fosse afflitto da una grande tristezza personale e sembrava sempre solo. Ma aveva una enorme forza interiore e la infondeva in tutto ciò che faceva, era una forza a cui non ti potevi sottrarre. La sua influenza ha contribuito ad accelerare il movimento per il voto dei neri e la desegregazione scolastica e ha contribuito a cambiare l’atteggiamento del nostro governo e dell’opinione pubblica nei confronti della riforma dei diritti civili. Era un intellettuale imponente, un uomo brillante e un leader nero che non sembrava mai dimenticare l’importanza di relazionarsi con gli altri come esseri umani. Aveva fame d’amore e credeva nel suo potere.
I principi del Movimento erano in fondo molto legati alla Chiesa. La fede nella non-violenza e nella dignità fondamentale di tutti gli esseri umani mi fu chiara in un drugstore in North Carolina: un’adolescente nera indicò lo Sceriffo locale e disse con una voce dolce che più non si poteva: “Quell’uomo mi ha fatto passare trenta giorni in prigione”. L’ha detto senza odio, punizione o rimpianto, ma quasi con orgoglio.
E’ stato quindi naturale che l’impaginato della mia storia per ‘Life’ includesse una foto di Baldwin su di un pulpito. Questa foto si trovava sulla pagina destra della rivista e, mentre si andava in stampa, si scoprì che sulla pagina sinistra, di fronte a Jimmy, c’era la pubblicità di un budino al cioccolato (ndr: gli afro americani erano spesso chiamati ‘cioccolatini’ in modo dispregiativo in quegli anni). Con grande fretta i redattori ritirarono la storia di Baldwin da quel numero. La storia fu pubblicata con successo qualche settimana dopo, ma senza la foto in chiesa qui esposta”.
Steve Schapiro
- La campagna elettorale di Robert Kennedy
Robert Francis Kennedy (1925-1968) è stato un politico statunitense, figlio di Joseph P.Kennedy e Rose Fitzgerald, fratello di John Fitzgerald Kennedy. Già a capo del Dipartimento di Giustizia come procuratore generale durante la presidenza del fratello John, si candidò alle elezioni presidenziali del 1968 partecipando alle elezioni primarie del Partito Democratico. Fu un oppositore della guerra del Vietnam e convinto sostenitore dei Diritti Civili. Il 4 Aprile 1968 fu lui, da Indianapolis, ad annunciare la morte del pastore Martin Luther King Jr., ucciso quella stessa sera. Morì in seguito all’attentato all’indomani della sua vittoria nelle elezioni primarie di California e Dakota del Sud, campagna per la quale era stato ritratto da Steve Schapiro.
- Muhammad Ali
X Muhammad Ali, nato Cassius Marcellus Clay Jr. (1942 – 2016) è stato un pugile statunitense considerato quasi unanimemente il migliore pugile di tutti i tempi. Ali è stata una figura carismatica dentro e fuori dal ring: si unì infatti al culto religioso afro americano ‘Nation of Islam’, cambiando legalmente il suo nome e promuovendo inizialmente il concetto di separatismo nero con una visione di insieme profondamente influenzata dalla sua ammirazione per il mentore Malcolm X. Tre anni dopo la conquista del campionato mondiale, Ali si rifiutò di combattere nella Guerra del Vietnam.
- David Bowie
Delle tante foto uscite dalla prima sessione fotografica di Bowie con Schapiro, alcune delle più famose sono certamente quelle in cui il musicista indossa gli abiti blu che lui stesso dipinse a strisce bianche. Con quegli abiti Bowie passò diverso tempo a disegnare l’albero della vita della cabala ebraica sui fogli che servivano da fondale sel set fotografico.
David Bowie a metà degli anni ‘70 dopo essere divenuto icona culturale in Inghilterra, suo paese di origine, riesce ad imporsi anche nel mercato più ampio e difficile da conquistare di sempre: gli Stati Uniti.
L’album ‘Diamond Dogs’, e il relativo tour promozionale in Nord America, anticipano di qualche mese il suo trasferimento a Los Angeles.
Nella città californiana Bowie, per sua stessa ammissione, vivrà uno dei periodi più bui della sua vita. Tra l’abuso di cocaina e l’ossessione per l’occultismo, Bowie rischiò di implodere. Ma nonostante la sua salute fisica e mentale fosse stata messa a dura prova, trovò il modo per uscire da quel tunnel che lo stava portando alla morte.
Bowie in quegli anni era affascinato dalla cabala: nel brano ‘Station to Station’ del ‘76 canta “Here we are, one magical movement from Kether to Malkuth. There are you, you drive like a demon from station to station”.
Kether e Malkuth sono due dei dieci elementi dell’albero cabalistico della vita, rispettivamente la parte più alta e quella più bassa ( e nel video che accompagna la canzone Bowie indica prima in alto e poi in basso).
‘Station to station’ allude, come confermato in seguito dallo stesso Bowie, alle stazioni della via Crucis ma anche alla metafora di un viaggio in treno di stazione in stazione, concetto che Bowie fonde col Sephiroth, le dieci sfere della creazione nel sistema mistico ebraico della Cabala.
Dalla Cabala all’occultismo il passo è però breve e Bowie, durante le sessioni di registrazione dell’album, bruciò candele nere per allontanare ‘visitatori indesiderati’ che provenivano dall’aldilà. Anche quando negli anni ‘80 Bowie, disintossicato e in una nuova fase della sua carriera, raggiunge il suo successo più grande di sempre con ‘Let’s Dance’, rimane però ancora legato alle sue vecchie fascinazioni: il testo pare essere in parte ispirato a una delle figure più oscure del XX secolo, ovvero Aleister Crowley.
Crowley, scrittore, alpinista e occultista britannico, divenne rapidamente una delle figure più venerate del rock and roll dopo aver creato la sua religione Thelema.
Dopo essersi autoproclamato profeta, dettò al mondo le tre regole per vivere al meglio, la più importante delle quali era: fai quello che vuoi.
Anche in ‘Blackstar’, l’ultimo album della sua carriera, Bowie sembra voler rendere evidente al suo pubblico il suo rinnovato interesse per tutto ciò che fosse occulto: cantato come se si trattasse di un incantesimo, il testo del primo verso della canzone omonima, sembra rimandare ad un rituale occulto e ritorna anche prepotentemente la figura di Aleister Crowley, come ammette anche John Renck, regista del video ‘Lazarus’, uno dei singoli estratti dall’album. ‘Lazarus’ trasmette il concetto di immortalità. La stessa uscita di scena di Bowie, che camminando a ritroso finisce in un armadio, pare alludere al ritorno in una dimensione ultraterrena. Nel video, poi, Bowie indossa lo stesso costume a righe trasversali con cui lo aveva fotografato Schapiro come a voler chiudere un cerchio quarant’anni dopo.
- La Factory di Andy Warhol
“Il mio primo lavoro con Andy Warhol risale al 1963 quando ‘Life Magazine’ mi chiese di fotografarlo. Andy all’inizio di quegli anni Sessanta non era ancora diventato il fenomeno di costume che tutti conosciamo e, per certi versi, ammiriamo. La critica feroce di quel periodo, poi, considerava l’arte di Warhol una sorta di ‘giochino’, un passatempo il cui valore non sarebbe andato oltre la fama effimera di quegli anni sfavillanti. In ogni caso, oltre a viaggiare con lui, trascorsi molto tempo alla Factory dove potei vedere come lavorava, ma anche chi frequentava.
In quegli anni il mondo dell’arte era alla continua ricerca di novità, sperimentazione e commistione tra i diversi generi. Qualcuno, durante l’inaugurazione di una mostra a New York, aveva suggerito ad Andy di considerare la musica come possibile nuova frontiera per il suo lavoro. Warhol e i Velvet Underground si incontrarono in un locale del Greenwich Village a New York. La band era appena stata licenziata in tronco perché la loro esibizione era stata considerata dagli organizzatori troppo scandalosa. Warhol, che assistette allo spettacolo, ovviamente ne rimane folgorato. La collaborazione tra loro non durò molto ma abbastanza da produrre quel primo album con la banana in copertina, che rimane un classico della musica pop.
Sempre per ‘Life Magazine’, seguii Warhol e i Velvet fino a Los Angeles. Era il Marzo del 1966 e Andy si era inventato questo spettacolo chiamato Exploding Plastic Inevitable. Si trattava di uno show multimediale nel quale i Velvet suonavano live mentre Andy proiettava i suoi film e Gerard Malanga e Edie Sedgwick, della Factory, ballavano sulle note delle canzoni cantate da Lou Reed o Nico. Alloggiavano tutti in questa sorta di castello un po’ malandato che stava sulle colline di Hollywood. Erano lì a poltrire in attesa di venire pagati per l’esibizione avvenuta la sera precedente. L’esibizione però non era andata bene come sarebbe accaduto invece a Chicago o New York e forse quello era il problema del ritardo di quel pagamento. Scattai comunque delle foto e poi ne scattai altre in studio a New York nell’Aprile dello stesso anno, mentre registravano il cosiddetto ‘Banana album’.
Mi sono accorto con il passare del tempo che alcune vecchie foto che non avevo considerato importanti, sembrano assumere una nuova vita. Alcune di queste sono state realizzate proprio alla Factory e hanno come protagonisti Andy Warhol e Edie Sedgwick: si può vedere Andy che sorride in modo naturale e spontaneo. Era difficile vederlo così sereno e rilassato…soprattutto perchè era davvero un ragazzo timido. Ho scattato molte foto anche ad artisti come Barbra Streisand, Renè Magritte ed Arthur Miller. Miller Era davanti all’ingresso del Chelsea Hotel dove andò ad alloggiare dopo essersi separato da sua moglie Marilyn Monroe”.
- Il cinema
“Su un set cinematografico, non si ha a che fare con la realtà, ma con la finzione del film.
Quando iniziai a collaborare con la macchina produttiva di Hollywood dovetti cambiare il mio approccio al lavoro. Dovevo innanzitutto catturare immagini che comunicassero il messaggio del film a differenza di quando accadeva quando fotografavo la vita comune per strada.
Quando riviste come ‘Life’, ‘Look’ e la maggior parte delle altre che davano spazio alla fotografia scomparvero alla fine degli anni ‘60, non c’era posto per i saggi fotografici, a meno che non riguardassero la Guerra, la politica o la fame. La maggior parte dei magazine che hanno preso il loro posto hanno iniziato ad utilizzare una sola immagine per raccontare una storia piuttosto che dare spazio ad un racconto più ampio fatto di più immagini. Quella singola foto era lì per darti prima informazioni poi, solo in un secondo momento, anche emozioni.
Quando, in seguito alla scomparsa delle riviste, mi sono rivolto a Hollywood l’ho fatto per sopravvivenza, per sbarcare il lunario. In quel contesto nuovo ho cercato di catturare lo spirito delle persone che ritraevo. Mentre il film veniva girato ho cercato di prendermi il mio tempo in attesa che arrivassero i momenti più propizi al mio scopo. Posso dire, da fotogiornalista, che a volte è stata una lunga attesa.
Ho avuto la fortuna di lavorare sul set di film eterni come ‘Il Padrino’, ‘Taxi Driver’, Midnight Cowboy’, ‘Apocalypse Now’, ‘Frankenstein Jr.’ e molti altri.
DeNiro fu un attore che mi impressionò. In ‘Taxi Driver’ recitava nella parte di Travis Bickle, un tassista che potremmo definire problematico. Per calarsi in quel ruolo passò circa un mese a fare il tassista proprio a New York. Fu incredibile vedere un giovane Robert DeNiro diventare il protagonista del film sotto lo sguardo attento di Martin Scorsese. Quando le riprese finirono Robert DeNiro continuò ad essere Travis Bickle per lungo tempo”.
Steve Schapiro
Fonti:
- foto e testi dalla mostra ‘David Bowie Steve Schapiro – America Sogni Diritti’ all’Archivio di Stato di Torino