I Fratelli Menendez
Il 20 agosto 1989 Erik e Lyle Menendez, due fratelli di 19 e 21 anni, uccidono i propri genitori nella villa milionaria che tutti e quattro condividono in una delle strade più esclusive di Beverly Hills. I sospetti quasi subito cadono su di loro, ma non ci sono prove per arrestarli fino a quando non spuntano dei nastri in cui i fratelli confessano, all’allora loro psicologo, il duplice omicidio.
Una brutta storia familiare. Una brutta storia di cronaca nera che tuttavia, seppur tragica, non ha nulla di eccezionale. Figli che uccidono i genitori, genitori che uccidono i propri figli: accade più spesso di quanto vorremmo. In ogni parte del mondo, in ogni ceto sociale, in ogni epoca.
Tuttavia la storia dei fratelli Menendez, a differenza di altre, continua ancora oggi, a 35 anni di distanza, a catturare così tanto interesse da suggerire a Netflix di distribuire, nel 2024, la miniserie “MONSTERS: la storia di Lyle ed Erik Menendez” prodotta da Ryan Murphy.
Ora che sappiamo che sono stati Erik e Lyle gli autori del duplice omicidio, rimane solo un’altra domanda in attesa di risposta: perchè lo hanno fatto?
Indice:
- Prima degli omicidi
- Vivere a Beverly Hills
- 20 agosto 1989: il duplice omicidio
- Chi erano i Menendez?
- Le indagini
- Il processo
- I fratelli Menendez oggi
- Il contesto sociale degli anni ’80 e ’90 a Los Angeles
Prima degli omicidi
Perché la storia dei fratelli Menendez cattura ancora oggi la nostra attenzione e quella dei media nonostante siano passati ben 35 anni da quell’evento? E perché tra tanti casi di parricidio è proprio quello di Erik e Lyle a conquistare le testate giornalistiche statunitensi per tutta la prima metà degli anni ’90?
La trama apparentemente semplice è in realtà un intreccio di luci e ombre che rispecchiano il contesto sociale e geografico in cui la storia stessa si è sviluppata: Los Angeles.
Los Angeles, da sempre una delle città più iconiche degli Stati Uniti, sta attraversando, a cavallo dei due decenni ’80 e ’90, un periodo di grande slancio economico e contemporaneamente di violenti scontri all’interno del suo, significativamente eterogeneo, tessuto sociale.
In questo contesto la famiglia Menendez, immigrati cubani che hanno conosciuto un successo repentino e strepitoso nella terra delle opportunità, rappresenta appieno la realizzazione del sogno americano.
Come è possibile che in una famiglia così unita e ricca, a cui apparentemente non manca nulla, i due giovani figli decidano di uccidere proprio i genitori che hanno permesso loro di vivere una vita da copertina?
Una risposta unica non c’è. Chi conosce la storia si sarà fatto la propria opinione oppure sarà ancora incerto su quale posizione prendere. Tuttavia l’aspetto interessante di questa vicenda non credo sia soltanto quello del crimine in sè, quanto piuttosto la fotografia che ci restituisce di un’America di strepitosi successi che hanno condizionato inesorabilmente la cultura pop e il nostro (per chi c’era) immaginario degli anni ’90.
Io, che degli anni ’90 sono una nostalgica essendo stato il decennio della mia adolescenza, potrei raccontare quell’epoca soprattutto attraverso immagini e musica.
Qualcuno una volta ha detto che la musica che abbiamo ascoltato per la prima volta quando eravamo ragazzini rimarrà per sempre la musica più bella, irreplicabile.
A me è successa più o meno la stessa cosa, non solo con la musica, ma proprio con gli Stati Uniti.
Quell’America che ho iniziato a conoscere attraverso i film e le serie tv di quell’epoca, una su tutte “Beverly Hills 90210“, ha influenzato in modo importante l’idea che per molto tempo ho avuto di quel paese. Ci sono voluti tanti anni e tanti, tantissimi viaggi per mettere in discussione e accettare che la realtà era in gran parte molto diversa dalla fotografia che avevo scattato appena ragazzina.
Proprio come in questa storia dove la perfetta copertina di famiglia nasconde pagine di orrore che hanno richiesto anni o meglio: decenni, per poter essere lette nel modo più onesto possibile.
Vivere a Beverly Hills
La serie televisiva cult all’inizio del decennio ’90 era “Beverly Hills 90210”.
Dieci stagioni, una puntata a settimana, di solito il giovedì sera.
Raccontava la vita di un gruppo di otto ricchi adolescenti, tra ragazzi e ragazze, che vivevano nel quartiere più esclusivo di Los Angeles. Tra i corridoi della Beverly Hills High, la scuola superiore più prestigiosa di L.A., si incrociavano le loro storie di vita quotidiana, di amori, delusioni, amicizie, feste, litigi e risate.
Tra una McMansion e l’altra, tra una decapottabile e una giornata in spiaggia nel club più esclusivo, ogni puntata cercava di trattare temi e problematiche che riguardavano l’adolescente medio americano: la salute mentale, la famiglia disfunzionale, le relazioni tossiche, la violenza e così via.
Non esisteva ancora un vocabolario così strutturato come quello di oggi per affrontare certi temi. Ma si stava spianando la strada. La cornice scelta per trattare queste tematiche era quella di uno dei luoghi più esclusivi ed elitari del pianeta (allora come oggi): la Los Angeles ricca, un ambiente a cui probabilmente il 99% degli adolescenti di allora (e di oggi) non poteva neanche lontanamente immedesimarsi.
Di città ricche è pieno il pianeta così come di enclave elitarie che non conoscono barriere di lingua, cultura ed etnia. Ma la ricchezza di L.A. è unica perchè è stata raccontata, attraverso i decenni, in numerosi film, serie tv, reality show, video musicali e pagine di giornali. Ha definito inesorabilmente l’immaginario collettivo che assocerà probabilmente per sempre a L.A. opulenza, ricchezza, sfarzo, eccessi, club esclusivi, jet set, cieli blu, palme alte, decapottabili e negozi di lusso.
Ovviamente non solo così. C’è molto altro appena fuori dagli scudi di Rodeo Drive. Ma c’è molto altro, più nascosto, anche all’interno di questa ricchissima porzione di pianeta.
Alcuni drammi che la serie “Beverly Hills 90210” raccontava erano liberamente ispirati a fatti di cronaca poi romanzati per necessità di copione.
Quando una puntata della serie tv, in cui si gira la scena di un matrimonio civile, viene girata nel tribunale di L.A., accade che finzione e realtà si trovano a confronto a poche aule di distanza.
Quel giorno i cameramen presenti negli affollati corridoi del palazzo di giustizia non sono solo quelli a contratto per la milionaria produzione di Aaron Spelling, ma tra loro alcuni stanno sgomitando per entrare velocemente nell’aula di tribunale in cui si sta dibattendo da settimane un processo destinato a segnare per i decenni a seguire la cronaca nera statunitense, quello dei fratelli Menendez.
Erik e Lyle Menendez, due giovanissimi e ricchissimi ragazzi di L.A., sono seduti al banco degli imputati con l’accusa di aver ucciso entrambi i genitori, Jose Menendez, famoso imprenditore nell’industria dell’intrattenimento e sua moglie Mary Louise “Kitty” Menendez.
20 agosto 1989: il duplice omicidio
Il 20 agosto 1989 alle 23: 47 arriva una chiamata al 911. La telefonata è partita da una casa al 722 di North Elm Drive, una delle strade più esclusive del quartiere di Beverly Hills. A chiamare è Lyle Menendez, 21 anni. Dice di essere tornato a casa dopo una serata al cinema con il fratello Erik e di aver trovato entrambi i genitori morti in salotto colpiti, presumibilmente, da arma da fuoco. Quando le pattuglie della polizia arrivano sul luogo del delitto non possono neanche lontanamente immaginare l’orrore che gli aspetta. Del resto, ai tempi, la media degli omicidi a Beverly Hills era appena di due l’anno. La scena è agghiacciante: nel salotto di casa dove Jose e Kitty Menendez stavano guardando la tv, mangiando gelato e fragole in abiti casalinghi, il sangue è ovunque. I corpi sono a terra colpiti di 14 pallottole e i loro volti sono irriconoscibili a cause delle ferite.
I figli piangono accovacciati nel giardino anteriore della casa mentre la polizia cerca di capire cosa è successo. Mo Angel è l’agente preposto a tenere sotto controllo i ragazzi. Visto l’evidente stress, sia di Erik, sia di Lyle, i detective decidono di posticipare i test di routine, test che avrebbero potuto stabilire la presenza o meno di polvere da sparo sulle loro mani.
I genitori sono stati colpiti anche di spalle. Potrebbero quindi essere stati colpiti da qualcuno che è entrato in casa a loro insaputa passando magari dall’ingresso posteriore per arrivare al salotto attraversando la guest house, il box delle auto e la piscina?
Qualcuno ipotizza un’azione mafiosa suggestionato sia dai colpi alle ginocchia inferti ad entrambe le vittime (un cifra distintiva degli omicidi di mafia), sia dal racconto del fratello maggiore Lyle che sostiene che il padre avesse rinunciato a portare a termine un affare con un membro della famiglia mafiosa dei Bonanno suscitando, quindi, le ire di quest’ultimo (tesi che verrà poi smentita dal diretto interessato che dimostrerà di non aver mai nemmeno conosciuto Josè Menendez).
Nel dubbio i fratelli, per paura di essere vittime di una vendetta da parte di presunti nemici del padre, nelle settimane a seguire non torneranno mai a dormire in quella casa, ma alloggeranno in hotel e appartamenti di lusso affittati tra Malibù e Marina Del Rey accompagnati da un paio di guardie del corpo assunte da Lyle.
Chi erano i Menendez?
Josè Menendez nel 1989 aveva 45 anni. Era cubano, emigrato in giovane età in America per volere dei genitori affinchè potesse affrancarsi dalla politica di Castro e trovare opportunità negli Stati Uniti. Grazie alla sua bravura nello sport, in particolare nel nuoto, ottiene una borsa di studio alla Southern Illinois University, dove, tuttavia, deciderà di non iscriversi. Incontra Mary Louise “Kitty” Andersen, una giovane reginetta di bellezza, e con lei si trasferisce in New Jersey dove consegue una laurea in contabilità presso il Queens College di Flushing, New York. Nel frattempo conduce diversi lavori per pagarsi gli studi, tra questi il cameriere al “21” di Manhattan, un club esclusivo in cui, una volta diventato facoltoso, tornerà spesso per cenare con famiglia e colleghi.
Si sposa con Kitty e hanno due figli a due anni e mezzo di distanza: Lyle, il più grande ed Erik, il più giovane. I primi anni di matrimonio sono economicamente sfidanti per la giovane coppia, tuttavia Josè è un uomo determinato nel voler realizzare il suo sogno americano e nel voler tornare alla condizione di ricchezza in cui la famiglia cubana lo aveva fatto crescere.
Josè vuole il meglio per i suoi ragazzi soprattutto dal punto di vista sportivo. Entrambi si cimentano in diversi sport per emergere poi nel tennis, in particolare Erik che riuscirà ad entrare nella classifica statunitense.
Josè inizia a lavorare per la Hertz come responsabile dei contratti, guadagnando 75mila dollari l’anno, per poi approdare qualche anno dopo alla RCA come uno dei dirigenti di punta che metterà a contratto band come gli Eurythmics, i Duran Duran e i Menudo
I figli intanto frequentano l’esclusiva Princeton Day School mentre la madre, per volere di Josè, si occupa della casa e dei ragazzi accompagnandoli nelle numerose attività sportive extrascolastiche.
Josè non riesce ad ottenere l’incarico di Direttore Generale alla RCA che, a seguito della delusione, decide di abbandonare. La famiglia lascia Princeton, con grande dispiacere di Kitty e dei ragazzi, per trasferirsi dall’altra parte della costa, a Los Angeles, dove inizia a lavorare per la IVE, International Video Entertainment (poi LIVE), un’ importante società cinematografica che in quel momento ha 20 milioni di dollari di debito che in pochi anni Josè riuscirà a trasformare in 8 milioni di dollari di guadagno, prendendo la distribuzione dei più importanti film di azione dell’epoca interpretati da Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger.
È un manager di successo. Per arrivare all’obiettivo non guarda niente e nessuno se non il risultato finale.
Inizialmente vanno a vivere a Calabasas, un quartiere medio alto di L.A. a nord ovest della città. Qui affittano una casa in attesa di costruirne una propria in un ampio terreno limitrofo.
Kitty continua la sua vita da casalinga e, a detta di chi l’ha conosciuta, sembra fosse un po’ triste e insoddisfatta nell’ultimo periodo. Ad una amica ha confidato di aver scoperto che Josè la tradisce da molto tempo cosa che, ferendola, la porta a cercare conforto in alcool e pillole. Il suo aspetto non è più quello di una volta: è ingrassata, i suoi capelli sono tinti di un biondo platino che non le dona e, di tanto in tanto, incolpa i figli per la sua condizione. È succube di Josè che, nonostante i tradimenti, non minaccia mai di voler divorziare: la cosa più importante per lui sono le apparenze e tenere la famiglia unita è fondamentale.
Tuttavia, nonostante la famiglia, per volere di Josè, non avesse molti amici e facesse poca vita mondana, l’immagine concreta e di successo che di loro danno in società non lascerebbe mai intendere che qualcosa di scomodo continui ad accadere da anni all’interno delle mura domestiche.
In quegli anni a Calabasas i figli si cacciano nei guai per due furti con scasso all’interno di due case del quartiere. Questi furti non sono certo dettati dal bisogno, ma fanno parte di prove di coraggio orchestrate dal gruppo di giovani, ricchi e annoiati, di cui i fratelli fanno parte. Con l’appoggio del famoso avvocato Gerald Chaleff se la cavano con poco: restituiscono la refurtiva e pagano una cifra intorno ai 10 mila dollari di risarcimento. La colpa, per scelta del padre, viene addossata ad Erik, ai tempi minorenne, permettendo in questo modo che l’iscrizione di Lyle alla Princeton University non venga compromessa. La sentenza dispone unicamente che Erik frequenti uno psicologo per un numero definito di sedute; come sottolineerà qualcuno, negli anni a venire, “i ragazzi poveri vanno in prigione; quelli ricchi vanno dallo psicologo“. Kitty chiede consiglio al suo personale terapeuta che le fornisce il nominativo di Jerome “Jerry” Oziel, un professionista da 160 dollari l’ora.
Josè non vuole che “I Menedez” vengano associati a questi eventi e di punto in bianco trasferisce la famiglia a Beverly Hills, in una casa in stile mediterraneo-spagnolo da 4 milioni di dollari a Elm Street. Una abitazione che in precedenza era stata affittata da Elton John, Prince, gli U2 e Michael Jackson. Dirà agli amici che Calabasas stava diventando un quartiere difficile e che più volte si era trovato le gomme dell’auto tagliate: stava facendo il possibile per nascondere la verità facendo ben attenzione a non lasciare trasparire in pubblico le difficoltà che la famiglia stava attraversando. Ai figli, del resto, aveva sempre insegnato che nella vita si poteva “rubare, mentire, tradire ma mai farsi beccare“.
Proprio durante questo trasferimento da Calabasas a Beverly Hills, Kitty viene ammessa al West Lake Community Hospital con una diagnosi, firmata dal Dr. Warden Emory, che afferma “Donna, 43 anni, con una intossicazione da Xanax e alcool. Un pregresso di moderata depressione e attacchi di panico. Sospetto disturbo di disordine di personalità“.
Erik, intanto, deve trasferirsi dalla Calabasas High alla Beverly Hills High, la scuola più snob di L.A. quella che, per intenderci, viene rappresentata proprio in Beverly Hills 90210. Erik, nonostante sia una star del tennis, viene descritto come un ragazzo un po’ solitario che gira per i corridoi della scuola sempre vestito in abbigliamento sportivo con la sua racchetta da tennis appesa in spalla. Josè non vuole che i figli abbiano amici stretti perchè, afferma: “sono una distrazione“. Inoltre, sempre secondo il padre, gli altri non sono come loro, ma hanno la malattia della “mediocrità”, una malattia contagiosa.
Nonostante tutto Erik fa amicizia con Craig Cignarelli, un ragazzo un po’ più grande di lui con cui lega sin da subito. Scorrazzano per le strade di Malibù con le loro auto decapottabili e sognano il giorno in cui avranno successo. Insieme scrivono una scenografia intitolata “Friends”: è la storia di una coppia di ricchi genitori che viene uccisa dai figli per ereditare il patrimonio. Ad aiutarli a battere a macchina il testo è proprio la mamma Kitty. Coincidenza o presagio?
Lyle intanto viene sospeso da Princeton per aver copiato durante una sessione di esame. Il padre, furioso più con l’ateneo, che con il figlio, per non aver accettato la sua generosa offerta di denaro per evitarne l’ammonimento, fa il possibile perché Lyle rimanga comunque in New Jersey: non vuole che a L.A. nessuno dei loro vicini e conoscenti, vedendolo, possa insospettirsi e venire a conoscenza dell’accaduto. Ma Lyle decide lo stesso di tornare a casa e per un po’ va a lavorare in azienda insieme al padre. Ci rimane poco, ma in questo breve lasso di tempo riesce a dare il peggio di sé comportandosi come il più classico dei ragazzi benestanti: arriva tardi al lavoro, rimane poco in ufficio e tratta con superiorità tutti quelli che lavorano alle dipendenze del padre.
La famiglia, nonostante tutto, rimane unita. Il 19 agosto, il giorno prima del duplice omicidio, tutti e quattro affittano una barca a Marina del Rey e trascorrono la loro giornata nelle acque del golfo losangelino.
Il giorno successivo i genitori decidono di trascorrere la serata davanti alla tv e guardare James Bond in “The Spy Who Loved Me” sicuri che i figli siano andati a vedere “007 License to Kill” all’AMC Multiplex al Century City Shopping Center.
Quello è l’ultimo giorno che i quattro trascorreranno tutti insieme.
Le indagini
Il duplice omicidio avviene la sera del 20 agosto 1989; sin dall’inizio la polizia ha dei sospetti sui due fratelli. Ma non ci sono prove per procedere con dei mandati.
Nei mesi successivi Erik e Lyle continuano la loro vita con una spavalderia che non passa inosservata. In breve tempo spendono 700 mila dollari del patrimonio di famiglia stimato, in quel momento, a 14 milioni di dollari. Lyle compra una Porsche Carrera, un Rolex, dei vestiti e un ristorante a Princeton dichiarando al magazine dell’Università che la madre sarebbe stata orgogliosa di saper che il figlio aveva proseguito la strada di imprenditore nella ristorazione che, a quanto dice, lei desiderava tanto.
Erik compra una Jeep Wrangler e assume un coach di tennis per 50 mila dollari all’anno.
Entrambi cambiano hotel e appartamenti di lusso tra Malibù e Marina del Ray con una certa disinvoltura.
Nel marzo del 1990, sette mesi dopo gli omicidi, qualcosa interrompe questo strano periodo di tranquillità apparente.
Judalon Smyth, amante ed ex paziente del dottor Jerome “Jerry” Oziel, lo psicologo che aveva seguito Erik dopo i furti a Calabasas, informa la polizia di avere in suo possesso dei nastri in cui i fratelli hanno confessato gli omicidi. Li ha registrati lei stessa su direzione di Oziel ed ora, non tanto per amore di giustizia quanto per amore di vendetta nei confronti del suo ex amante con cui è in rottura, decide di consegnarli alle forze dell’ordine.
Dai nastri emerge che Erik, ad inizio ottobre, aveva ricontattato il dottor Oziel per una serie di sedute e proprio in una di queste aveva confessato il duplice omicidio. Oziel gli consiglia immediatamente di chiamare anche Lyle il quale, in poco tempo, raggiunge lo studio dello psicologo e si infuria con il fratello minore per aver fatto quella confessione. Sostiene che ora dovranno trovare una soluzione anche per il dottor Oziel.
Lo psicologo li convoca per altre sedute che decide di registrare. Ad ascoltare gli incontri, a loro insaputa, c’è anche Judalon Smyth, una donna in quel momento impegnata in una relazione extraconiugale con il terapeuta. Oziel è spaventato dalla sottesa minaccia e vuole essere sicuro di avere le prove nel caso dovesse succedere qualcosa. Inoltre, sapere che Smyth è appena fuori dalla porta, lo rassicura del fatto che nella situazione più estrema lei potrà immediatamente avvertire la polizia.
L’8 marzo 1990, mentre Lyle, rientrando con amici da un pomeriggio alla Cheesecake Factory, sta per parcheggiare nell’ingresso anteriore al 722 N di Elm Street, la polizia lo arresta facendolo sdraiare a terra nel vialetto di casa e ammanettandogli i polsi mentre tutto il vicinato è impegnato a fare qualcosa che il padre avrebbe detestato: rimanere a guardare. Le volanti hanno i lampeggianti accesi e partono alla volta della Los Angeles Men’s Central Jail, la prigione maschile di L.A.
Erik in quel momento è in Israele a giocare un torneo di tennis. Viene avvertito dal suo coach di quello che sta succedendo a casa e decide di tornare di sua spontanea volontà in patria per evitare di essere arrestato in territorio straniero. Fa scalo prima a Londra, poi a Miami dove si incontra con i parenti da parte di padre per poi ripartire alla volta di LAX, l’aeroporto internazionale di Los Angeles, dove lo aspetta la polizia per portarlo allo stesso carcere maschile in cui il fratello è già in stato di custodia.
Il processo
I fratelli assumono i due avvocati più famosi ad L.A. in quegli anni: Gerald Chaleff per Lyle e Leslie Abramson per Erik.
Leslie Abramson è la più famosa avvocatessa per le cause di pena di morte. Ha da poco aiutato un giovane ereditiere ad ottenere una condanna minima per aver ucciso il padre. In aula è riuscita a dimostrare che il ragazzo subiva da anni abusi fisici e psicologici da parte del padre portando come termine di paragone la storia di Lisa Steinberg, uccisa dal padre adottivo Joel Steinberg dopo anni di abusi: “cosa succede se le Lisa Steinberg non muoiono? Cosa succede se le Lisa Steinberg crescono e dopo anni di abusi decino di vendicarsi dei loro padri?” questa è il suo discorso di apertura al processo.
Gerald Chaleff è lo stesso avvocato che aveva seguito Erik nelle vicende di rapina di Calabasas. Nel frattempo ha seguito la difesa di Angelo Buono, lo stangolatore di Hillside.
Il giudice è Stanley Weisberg, lo stesso giudice che ha seguito il caso di Rodney King e il caso della McMartin Preschool.
All’udienza preliminare l’aula è gremita di gente tra cui Maria Menendez, la nonna dei fratelli, convinta della loro innocenza, accompagnata dalle fidanzate di entrambi e dalle sue figlie. Durante gli anni del processo le donne Menendez condividono prima la casa di Elm Street poi, quando questa viene affittata ad un principe saudita per 50 mila dollari a settimana, la casa di Calabasas.
I fratelli all’udienza preliminare si presentano con un atteggiamento arrogante e completi Armani probabilmente comprati in quel breve lasso di tempo in cui hanno assaggiato la libertà assoluta tra la morte dei genitori e il loro arresto. Sono belli, sicuri di sé, ancora abbronzati dalle tante ore passate sui campi da tennis.
Per i successivi due anni si discuterà se i nastri, a processo, siano ammissibili o meno. Oziel, su suggerimento del suo avvocato, aveva contattato l’American Psychological Association per essere consigliato sul da farsi. Gli avevano ricordato che sebbene il rapporto cliente-terapeuta sia tutelato da un rapporto di segretezza, questo viene meno se le cose dette in occasione di una seduta rappresentano una minaccia per sé o per gli altri.
In questo caso le confessioni rappresentano una minaccia per il dottor Oziel ed è per questo motivo che, con grande delusione da parte della difesa, i nastri vengano ammessi e nel 1993 inizia il processo.
In tutto quel periodo i fratelli sono rimasti in carcere in custodia preventiva. Quando ricompaiono alla prima seduta del processo sono molto cambiati. Entrambi hanno perso l’abbronzatura e la sicurezza che li aveva da sempre contraddistinti. Lyle da lì a poco dirà addio al toupè e si raserà a zero.
La strategia dell’accusa è semplice: i due ragazzi hanno ucciso i genitori per avidità. Volevano ereditare l’intero patrimonio del padre. Avevano paura che Josè avesse aggiornato il testamento diminuendo le quote destinate ai figli.
È per questo motivo che nei giorni immediatamente successivi all’omicidio avevano contattato un esperto di computer per desecretare alcune cartelle che il padre aveva sul pc, convinti che in queste ci fosse un testamento aggiornato a loro sfavore.
Le spese folli nei mesi a seguire il 20 agosto 1989 sono per l’accusa una prova che avvalora questa teoria, anche se i fratelli sosterranno sempre di aver semplicemente mantenuto il loro stile di vita.
La difesa adotterà una linea difensiva aggressiva. Leslie Abramson esorta i giurati a farsi una domanda diversa. Il punto, infatti, non è “chi ha ucciso” ma “perché ha ucciso”.
“We alone know the truth. We alone know the secrets of our family’s past. I do not look forward to broadcasting them around the country… We need to hang in there together in my opinion. You noticed I have not held you talking to Cig or Oziel against you even though my entire life is on the verge of destruction as a result of all of us. I feel that we have done what we did together and everything that we do afterwards is both our responsability. We did not do anything for the money. To go our separate ways is to lose any meaning our actions had”
da una lettera di 17 pagine scritte da Lyle ad Erik nel giugno del 1990.
La strategia difensiva portata in aula dalla Abramson è conosciuta come “blame the victim”, ovvero: colpevolizza la vittima. I cattivi non sono gli imputati, ma sono i genitori che, con i loro comportamenti autoritari e abusanti perpetrati per anni, hanno portato i figli a compiere un atto estremo per sopravvivenza e sfinimento.
Lyle ed Erik hanno ucciso Jose e Kitty perché stremati da anni di continui e ininterrotti abusi psicologici, fisici e sessuali. Il padre avrebbe abusato di Lyle in tenera età e poi avrebbe fatto lo stesso con Erik. Scoprendolo, Lyle avrebbe minacciato il padre di dirlo in giro, ma è a questo punto che inizia a temere ripercussioni da parte di Josè come riflesso della sua stessa minaccia. Ha paura che il padre possa uccidere entrambi i suoi figli pur di evitare che scomode verità vengano a galla. Josè, secondo gli esperti, usava il sesso come punizione, come manifestazione di forza e dominio. Con Erik aveva continuato a farlo fino alla settimana prima degli omicidi. Qualcuno commenterà: “un ragazzo che uccide i suoi genitori è un frutto andato a male. Due ragazzi che uccidono i loro genitori sono una famiglia andata a male“.
Il processo viene ripreso dalle telecamere e va in onda su Court TV, una emittente in quegli anni ai suoi albori, facendo il boom degli ascolti. Quando è il momento per i fratelli di testimoniare, entrambi, a fatica, racconteranno orribili episodi di abuso e violenza subiti dal padre. Tutti gli episodi portati al banco da Erik e Lyle parlano di una famiglia altamente disfunzionale. Erik dirà che la sua vita era come un training camp e che stare in carcere, in un certo senso, era rilassante.
I sondaggi diranno che le persone che hanno seguito il processo attraverso Court TV hanno sviluppato una certa empatia con i ragazzi, maggiore a quella, quasi nulla, dei telespettatori che hanno seguito il caso attraverso altri canali. Una spaccatura simile è accaduta anche in aula dove la parte maschile della giuria non ha creduto alla tesi degli abusi, mentre la parte femminile, a poco a poco, ha empatizzato con gli imputati.
Il processo si è concluso con un nulla di fatto poiché la giuria non è riuscita a raggiungere un verdetto unanime. Per loro gli imputati erano colpevoli, ma non riuscivano a stabilire il grado di colpevolezza: omicidio di primo grado? Omicidio colposo? Omicidio involontario?
Il 26 gennaio del 1994 il procuratore distrettuale Gil Garcetti, già impegnato nell’altro storico e contemporaneo caso di cronaca nera, quello della morte di Nicole Brown Simpson, moglie di O.J.Simposon, dichiara che verrà istituito un secondo processo per omicidio di primo grado, questa volta a porte chiuse.
Intanto il patrimonio di 14 milioni di dollari è quasi completamente evaporato in spese processuali e di protezione all’interno del carcere dove i fratelli sono continuamente minacciati, dagli altri detenuti, secondo un codice interno non scritto che prevede una forma di giustizia privata a seconda del crimine per cui si è stati imprigionati.
Nel 1995, sei anni dopo gli omicidi, inizia il secondo processo. In questo il giudice nega la presenza delle telecamere, non permette alla difesa di parlare degli abusi e di conseguenza nega la testimonianza ad oltre metà dei testimoni del primo processo. La giuria è chiamata a esprimere il suo giudizio solo su due capi di accusa: innocenti o colpevoli di omicidio di primo grado. Il 20 marzo del 1996 vengono giudicati colpevoli con una condanna di ergastolo a vita per omicidio di primo grado. E’ grazie alla difesa di Leslie Abramson che i ragazzi evitano una condanna a morte. Tempo dopo i giurati coinvolti nel secondo processo affermeranno che se avessero saputo degli abusi non avrebbero mai avvallato una condanna per omicidio di primo grado.
I fratelli hanno fatto più volte appello per un nuovo processo, ma fino ad ora le loro richieste sono sempre state respinte.
I fratelli Menendez oggi
Fino al 2018 i fratelli hanno scontato la pena in carceri differenti. Entrambi hanno iniziato a fare dei piccoli lavori e si sono spostati con donne conosciute attraverso corrispondenza.
Nel 2018 è stato permesso loro di riunirsi nello stesso carcere, il Richard J. Donovan Correctional Facility di San Diego che, ironia della sorte, è la stessa città in cui si presume abbiano comprato le armi per commettere il crimine.
Nel 2020, durante il lockdown, in quella breve parentesi in cui il mondo si è fermato e abbiamo avuto tutti più tempo per interessarci e riflettere su tematiche a cui avremo prestato meno attenzione intrappolati nella routine della quotidianità, un movimento a difesa dei fratelli Menendez si è fatto strada tra l’algoritmo di Tik Tok appellandosi alla legittima difesa imperfetta. Sono giovanissimi provenienti da ogni parte del mondo che ai tempi dei fatti non solo non erano nati, ma non erano probabilmente neanche un’idea. Seguendo l’onda del movimento woke che nel periodo Covid ha trovato più palcoscenici virtuali liberi e più tempo per farsi ascoltare, soprattutto a seguito dell’omicidio Floyd, questi attivisti della causa Menendez hanno iniziato a postare incessantemente richieste di revisione del caso. I fratelli avrebbero subito un processo ingiusto privati della possibilità di dimostrare come anni di sofferenze e abusi all’interno di una famiglia disfunzionale li abbiano portati a compiere un gesto estremo per sopravvivenza.
Sembra improbabile che una revisione del processo possa effettivamente essere presa in considerazione, ma la notizia di questo movimento ha raggiunto i fratelli nelle loro celle in California. È stato inaspettato anche per loro: così tanta attenzione dopo 30 anni. Erik ha confermato che probabilmente oggi le cose sarebbero andate diversamente perché c’è più apertura, tolleranza e conoscenza di tematiche relative agli abusi domestici, alle famiglie disfunzionali e alle conseguenze che queste possono avere sulla salute mentale.
Non sapremo mai la completa verità su questa storia. Non sapremo mai se il vero e unico movente di questo omicidio sia stata l’ avidità o la paura. La stampa statunitense ai tempi scrisse: “Josè Menendez aveva dato ai figli tutto. Forse anche un motivo per ucciderlo“.
Di sicuro c’è che nel 2023 è stata annunciata la produzione di una miniserie Netflix, con attori di spicco come protagonisti, che porterà in scena la vita della famiglia cubana che in America aveva realizzato il sogno americano.
Il contesto sociale degli anni ’80 e ’90 a Los Angeles
Il caso Menendez si svolge in un periodo turbolento per Los Angeles.
Trasformazioni e tensioni sociali ne connotano il tessuto urbano: da un lato la città è al culmine del suo splendore come capitale dell’industria cinematografica, dall’altro è caratterizzata da grandi disuguaglianze sociali, tensioni razziali e criminalità.
Il caso dei fratelli Menendez riflette in qualche modo il dualismo di Los Angeles: una città opulenta ed esibizionista, ma allo stesso tempo oscura dove persino le famiglie apparentemente perfette e ricche possono celare segreti orribili. In quegli anni il caso di O.J. Simpson aprirà una porta all’interno delle case dei privilegiati sollevando sgomento e perplessità sulle dinamiche famigliari che si possono nascondere in quel mondo patinato, così lontano dai quartieri più difficili della città, dove non ci aspetteremmo mai di trovare altrettanta violenza.
Negli anni ’80 e ’90 Los Angeles è un luogo di contrasti marcati, caratterizzato da profonde tensioni sociali e politiche, ma anche da una vivace scena culturale, economica e cinematografica.
Tra le serie tv più iconiche di quegli anni ricordiamo “Beverly Hills 90210”, i fratelli maggiori di Brenda e Brandon di “Melrose Place”, “Il Principe di Bel Air” con un giovane Will Smith e “Baywatch”.
Tutte serie tv per famiglie volte a raccontare il lato più scintillante, ricco e desiderato di L.A. impregnate, insomma, di edonismo reaganiano.
A qualche miglio di distanza, sempre nei confini della stessa città, alcuni quartieri invece sono fortemente caratterizzati da tensioni razziali alimentate da disuguaglianze sociali ed economiche. La brutalità della polizia e la segregazione urbana sono un tema che trova spazio quasi unicamente nei versi dei rapper che da quelle zone provengono e attraverso quelle zone si stanno facendo strada nell’industria musicale.
La rivolta di Los Angeles del 1992 fu uno dei momenti più significativi della storia della città. Nel 1991 Rodney King, un giovane tassista afroamericano, viene brutalmente picchiato dalla polizia di Los Angeles. E’ una delle prime volte che un video che riprende la brutalità della polizia diventa virale. La successiva assoluzione degli agenti coinvolti, per mano dello stesso giudice Stanley Weisberg, scatenò un’ondata di rabbia e frustrazione che sfociò in sei giorni di violente rivolte.
Quegli stessi anni, inoltre, videro crescere significativamente le bande criminali, in particolare quelle dei Crips e dei Blood, due delle più potenti gang afroamericane insieme alla latina Mara Salvatrucha.
Il forte afflusso di immigrati provenienti dal Messico, dall’America Centrale e dall’Asia la rese una tra le città più multietniche e culturalmente variegate, ma contribuì ad alimentare tensioni legate all’integrazione e all’accesso a risorse e servizi pubblici.
La LAPD, Los Angeles Police Department, durante questi decenni fu spesso accusata di abuso di potere e discriminazione razziale, soprattutto nei confronti delle comunità afroamericane e latine. Il capo della polizia di Los Angeles, Daryl Gates, durante gli anni ’80 e i primi ’90, adottò politiche aggressive come la “War on Drugs” che portò a numerosi arresti, ma ad altrettanti episodi di abuso di potere. Venne anche introdotta la legge conosciuta come “Three Strikes” che prevedeva l’ergastolo per chi fosse stato condannato tre volte per reati gravi. Queste misure, tuttavia, colpirono sproporzionalmente le comunità nere e latine.
In questo contesto gli omicidi dei Menendez prima, l’omidicio di O.J.Simpson poco dopo, portarono alla luce dinamiche disfunzionali anche all’interno delle comunità privilegiate. Le tensioni razziali e gli scontri con la polizia nei quartieri più difficili come Watts e South L.A., determinarono pesantemente le sentenze in alcuni dei processi più famosi nella storia di questa città.
Fonti:
- Dominick Dunne: “Nightmare on Elm Drive”, Vanity Fair, ottobre 1990
- Zed Simpson: “The Menendez Brothers”
- Hazel Thornton: “Hang Jury: the diary of a Menendez juror”
- Robert Rand: “The Menendez Murder: the shocking untold story of the Menendez family and the killings that stunned the Nation
- Discovery Plus: “Il caso dei fratelli Menendez”
- Netflix: “Monsters: the Lyle and Erik Menendez Story”
- Netflix: “The Menendez Brothers”